La storia e i segreti della Domus Aurea

Alla scoperta di una delle opere più grandiose dell'antica Roma, su cui ancora oggi si concentra l'attenzione di archeologi e storici dell'arte.
del 14/04/20 -

A pochi passi da uno dei monumenti più visitati al mondo, il Colosseo, c’è un luogo che resiste nel tempo, la Domus Aurea. Ci troviamo all’interno del parco di Colle Oppio, uno spazio urbano fondamentale per la città nonché luogo di passeggio e di svago. Proprio qui sorgono i resti di uno dei più importanti palazzi imperiali dell’antica Roma, la Domus Aurea. Questa grandiosa opera fu realizzata su volere dell’imperatore Nerone, l’ultimo degli imperatori della dinastia Giulia.

Nerone sale al potere all’età di 17 anni, in quanto figlio adottivo dell’imperatore Claudio, nel 54 d.C. Inizia a promuovere i primi provvedimenti sotto la guida attenta del prefetto Burro e di Seneca, suo precettore. Pochi anni prima di diventare imperatore, egli aveva sposato la cugina Claudia Ottavia ma in questa fase della sua vita l’incontro più significativo fu quello con un’altra donna, Poppea. Donna bella e ambiziosa, Tacito la descrive in questi termini: “ebbe ogni pregio femminile, tranne l’onestà”. Sotto le continue pressioni di questa celebre donna, Nerone ripudia Ottavia, accusandola di sterilità e di adulterio e la fa esiliare, per poi ucciderla; e dopo undici giorni sposa Poppea.

Lo storico Svetonio, nel De Vita Caesarum, delinea il profilo dell’imperatore: “nato ad Anzio, il 15 dicembre, proprio allo spuntar del sole, sicché dai suoi raggi fu toccato quasi prima della terra. Dall’oroscopo del neonato subito molte persone previdero cose spaventose; valore di presagio ebbero anche le parole di suo padre Domizio il quale mentre gli amici lo complimentavano, asserì che da lui e da Agrippina non poteva non esser nato niente che non fosse detestabile e destinato a danneggiare tutti”.

E la profezia si avverò. Nerone divenne il simbolo della crudeltà e dell’infamia per la città di Roma. Proseguendo con la lettura della biografia, Svetonio tramanda che l’imperatore fu amante delle arti, tra cui la musica, il canto e la poesia ma fu anche un grande scialacquatore di denaro, impiegato soprattutto per le costruzioni. L’imperatore, infatti, si fece erigere tra il 64 e il 68 d.C. “una dimora come si addice ad un uomo”: la Domus Aurea.

Per cogliere l’imponenza della Domus Aurea possiamo servirci di alcuni numeri: 150 stanze, alcune molto piccole ed altre più ampie, per un’estensione complessiva di 16.000 metri quadrati, l’equivalente di 3 campi di calcio; circa 30.000 metri quadrati di pareti decorate con affreschi e stucchi e volte alte fino a 12 metri.

Al tempo dell’Imperatore Nerone la Domus si presentava completamente ricoperta d’oro, pietre preziose, conchiglie e perle, mentre i soffitti delle sale da pranzo erano caratterizzati da tavolette di avorio mobili. Petali e profumi avrebbero deliziato invece gli ospiti tanto graditi all’imperatore. Da ciò si evince come la Domus Aurea non fosse solo destinata a luogo di residenza dell’imperatore ma anche luogo di svago e di otium.

Alla maestosa dimora dell’imperatore si aggiungeva, inoltre, una colossale statua di bronzo dorato (il c.d. Colosso di Nerone) alta 35 metri e sorretta da un piedistallo di 11 metri, che la faceva apparire ancor più imponente. Questa grandiosa statua, che rappresentava l’imperatore nelle sembianze del dio sole, fu realizzata dallo scultore greco Zenodoro, e collocata nel vestibolo della Domus Aurea, accanto al Colosseo.

Attraverso questi numeri possiamo quindi comprendere quanto fosse immenso il progetto legato alla Domus Aurea, costruita in soli 4 anni, sulla base del progetto predisposto dagli architetti Celere e Severo. La residenza dell’imperatore comprendeva, in particolare, la zona del Palatino, le pendici dell’Esquilino e parte del Celio, per un’estensione di circa 250 ettari.
Il fulcro della parte orientale della domus era rappresentato dalla Sala Ottagona, la sala 128, caratterizzata dai suoi ambienti radiali. Fiancheggiata da una serie di cortili che si aprono ai lati, ha suscitato, nel tempo, l’interesse di molti studiosi, dato l’elevato valore tecnico e architettonico di questo ambiente. Essa si caratterizzava per la presenza di una cupola a padiglione, forata da un oculo in sommità ed attorniata da un ninfeo, preceduto da una scalinata sulla quale scorreva l’acqua che rinfrescava l’ambiente.

Le fonti ci dicono che questo grandioso ambiente aveva la funzione di sala per banchetti; si trattava di una sala sfarzosa ma allo stesso tempo scenografica. Si pensa che gli architetti Severo e Celere avessero collocato nella sala una struttura lignea che ruotava lentamente, grazie a complessi meccanismi idraulici, e che, come il mondo, compiva un giro completo in 24 ore. Al centro della sontuosa sala, sedeva su di un trono Nerone, identificato come il sole, mentre dall’alto piovevano petali di fiori e venivano versati profumi.

La dimensione teatrale e megalomane tipica del committente, si riverbera anche sul lavoro di decorazione interno delle stanze che, secondo le fonti, fu affidato al pittore romano Fabullus. Di esso ci parla lo scrittore Plinio il Giovane, il quale ci fornisce curiosi aneddoti, tra cui il fatto che l’artista dipingeva sempre in toga, anche sulle impalcature di cantiere. Plinio descrive Fabullus con quattro aggettivi che vengono menzionati in questa frase latina: “fuit et nuper gravis et severus idemque floridus ac umidus pictor F.”.

Gli aggettivi “gravis et severus” si riferiscono probabilmente alla sua personalità forte e determinata, mentre “floridus e umidus” dovrebbero far riferimento alla tecnica tipica della sua pittura. Il termine “floridus”, in particolare, fa riferimento al fatto che al tempo dell’antica Roma, i colori usati nell’arte dell’affresco erano chiamati floridi, per l’appunto; erano colori molto preziosi che venivano comprati a spese del committente e successivamente forniti al pittore. Tra tutti questi, il più prezioso era certamente il colore porpora perché estratto dalle conchiglie.

La maestria del pittore Fabullus si può apprezzare specialmente nella sala di Achille a Sciro, riportata alla luce nel XX secolo, a seguito dei 5 mesi di lavori di consolidamento e restauro. Oggi, anche se solo in minima parte, possiamo immaginare come essa fosse affrescata al tempo di Nerone, rappresentando un magnifico esempio di pittura di “quarto stile”. In questo affresco, le architetture illusionistiche si stagliano su di uno sfondo giallo, così come motivi geometrici arricchiti da ornamentazioni dipinte di azzurro e rosso. Al centro della volta invece, troviamo la raffigurazione di Achille, nascosto dalla madre Teti tra le figlie di Nicomede sull’isola di Sciro, per sfuggire alla guerra di Troia. In questa sala i marmi rivestivano oltre la metà delle pareti.
A seguito della morte di Nerone, avvenuta nel 68 d.C., gran parte dell’edificio fu abbattuto per far spazio a nuovi complessi architettonici, tra cui il palazzo dei Flavi sul Palatino, la Domus Tiberiana, l’Anfiteatro Flavio e le Terme di Traiano, situate sulla sommità del Colle Oppio. Fu proprio qui che nel Medioevo sorsero orti e vigne. In sostanza, l’area divenne totalmente abbandonata a sè stessa e della Domus si persero le tracce per molti secoli.

Solo nel 1480 l’opera tornò alla luce in modo peraltro del tutto casuale. Un giovane romano, infatti, passeggiando tra i viali del parco del Colle Oppio, cadde all’interno di un foro per poi ritrovarsi in una buia grotta affrescata da forme vegetali, figure umane ed animali, inserite all’interno di paesaggi e prospettive architettoniche fantastiche. Si trattava, appunto, dell’antica e celebre residenza di Nerone. La scoperta fu talmente importante che destò l’interesse dei più grandi artisti del Cinquecento.

Si dice che alcuni pittori, tra cui il Pinturicchio, Filippino Lippi e il Signorelli si calarono nelle cavità del colle Oppio per recarsi, a lume di torce, ad ammirare queste decorazioni pittoriche. Ed ecco che nel 1496 apparve per la prima volta il termine “grottesca”, coniato probabilmente dagli stessi artisti per definire i diversi sistemi decorativi della pittura antica riscoperti nelle grotte romane.

In particolare, il motivo a grottesca fu particolarmente studiato da Michelangelo, dal Pinturicchio e da Raffaello. Quest’ultimo, precisamente, nel 1519, sotto il pontificato di papa Leone X, venne chiamato ad affrescare le camere e la loggia del pontefice. Il motivo scelto per la loggia fu interamente a grottesca: scene bibliche incorniciate da architetture illusionistiche collegate da preziosi ornamenti pittorici, angeli, uccelli entro paesaggi campestri, in linea con la moda del tempo. Anche il Pinturicchio, inoltre, fu fortemente influenzato dalla Domus Aurea; l’artista toscano copiò i motivi che usò per le decorazioni dell’appartamento Borgia, in Vaticano, e per la libreria Piccolomini, nella Cattedrale di Siena.

Per altri interessanti approfondimenti sulle opere d'arte di Roma, visita il sito https://www.romeandyou.org/blog




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