150 Italia, le reti sanitarie che hanno fatto l’unità: SSN, trapianti e donazione di sangue
Si è appena conclusa la Manifestazione “I 150 anni di Sanità Italiana”, svoltasi presso la Sala delle Conferenze di Palazzo Marini, alla presenza del ministro della Salute Ferruccio Fazio. Nei festeggiamenti per il “compleanno” dello Stato italiano, la sanità non può certo giocare un ruolo di secondo piano visto il ruolo di “rete” che ha svolto su tutto territorio nazionale, dando un contributo decisivo alla sua unificazione di fatto.
del 15/03/11 - di Mario Bianconi
Diverse quindi le iniziative che celebreranno il ruolo della sanità nel corso di questi 150 anni. Uno spazio di rilievo avranno di certo quelle strutture che più di tutte si sono distinte come “reti nazionali”: la donazione del sangue, quella degli organi e l’assistenza sanitaria gratuita e universale.
reti sanità Il bilancio del loro funzionamento oggi conferma come, nonostante la resistenza di differenze locali che penalizzano sempre il sud, il sistema nazionale della salute abbia contribuito ad un’identità unica, partendo proprio da uno dei temi sensibili per eccellenza, quello della salute. E nella ricerca difficile di un equilibrio che permetta alle regioni più deboli di raggiungere i risultati delle più virtuose, diversi meccanismi di solidarietà hanno creato nei fatti un sistema nazionale che si è espresso proprio attraverso le tre reti del sangue, dei trapianti e del servizio sanitario nazionale. Se c’è qualcosa che può dimostrare come l’unione fa la forza, e l’eccellenza in questo caso, è la rete trapiantologica italiana. Dopo il primo trapianto in Italia, effettuato con un rene nel 1966 al Policlinico di Roma, il nostro Paese ha via via iniziato a svolgere trapianti e raccogliere organi, ma sulla base di tre organizzazioni regionali: la Nitp (Nord Italia transplant program) nata nel 1976, l’Associazione interregionale trapianti nel 1989 e l’Organizzazione centrosud trapianti nel 1994, ognuna con le sue regole. Nel 1994 nasce la Consulta nazionale dei trapianti presso l’Istituto superiore di sanità, che inizia a raccogliere i dati, e nel 1999 viene istituito il Centro nazionale trapianti (Cnt), composto dai rappresentanti di tutte le regioni e dal ministero della Salute, che svolge su base nazionale funzioni di supporto, coordinamento e controllo. I risultati sono notevoli: si passa da 392 donatori utilizzati nel 1992 a 1167 nel 2009, per un totale complessivo di 14.862 donatori e 43.521 trapianti effettuati, inclusi quelli combinati. “La rete nazionale non è solo per gli organi, ma anche per i tessuti e le cellule staminali emopoietiche da midollo osseo e cordone ombelicale – spiega Alessandro Nanni Costa, direttore del Cnt – Un sistema strutturato che ha permesso al nostro paese di diventare in 10 anni uno dei primi in Europa per donatori e trapianti”. Un ruolo non minore ha avuto la rete della donazione di sangue: 1,6 milioni di volontari federati Avis, Croce Rossa, Fidas e Fratres, migliaia di operatori sanitari tra medici, infermieri professionali e ausiliari, oltre 300 servizi trasfusionali, 21 Centri regionali di Medicina Trasfusionale, un Centro nazionale sangue e 4 milioni di trasfusioni. Sono questi i numeri che raccontano lo sforzo fatto ogni giorno per raccogliere e controllare sangue, piastrine ed emoderivati. Il nostro Paese è diventato autosufficiente nella raccolta di globuli rossi e piastrine dall’inizio degli anni 2000 e sta per diventarlo anche per gli emoderivati. Nel nostro Paese, come spiega Pasquale Spagnuolo, responsabile delle politiche sanitarie dell’Avis, “ogni giorno si consumano 10mila unità di emocomponenti tra globuli rossi e piastrine, che in un anno diventano 2,5 milioni. Tuttavia la richiesta cresce ogni anno del 2% circa”. Dal 2007 la raccolta del sangue viene coordinata a livello centrale dal Centro nazionale sangue, prima era gestita dagli ospedali sul territorio e dai volontari. Dal 1990 la lavorazione del sangue è solo di competenza pubblica. Infine, il Servizio Sanitario Nazionale. La prima legge di sanità pubblica del Regno d’Italia fu la Crispi-Pagliani, emanata nel 1888, basata sull’assetto sanitario del Piemonte, più arretrato rispetto alla Toscana o al Regno borbonico, che già avevano misure di igiene pubblica e prevenzione delle malattie. La sanità nel nuovo Regno d’Italia rientra così tra le funzioni di sicurezza, e dipende dal ministero dell’Interno. C’erano i medici provinciali e i medici condotti sparsi sul territorio, ognuno dei quali disponeva di una levatrice. Nel 1948 la Costituzione sancisce il diritto alla tutela della salute da parte dello Stato, e nel 1968 nascono gli ospedali pubblici, di tre tipi: generali, provinciali e locali. Il 1978 è un anno cruciale: vengono emanate la legge 180, che chiude i manicomi, la legge 194 sull’aborto e la 833 che istituisce il Servizio sanitario nazionale, universalistico e solidale. Una vera svolta che consente a tutti i cittadini di poter essere curati gratuitamente, anche in regioni diversa dalla propria senza costi aggiuntivi. Nel 2001 la riforma costituzionale devolve alle regioni le competenze sulla sanità.